By: Claudio Gallo
La Stampa
Emadeddin Baghi, 45 anni, uno dei più noti attivisti per i diritti umani in Iran, è stato nuovamente arrestato, quattro giorni fa, nonostante la sentenza di condanna prevedesse una cauzione di oltre 50 mila dollari che l’imputato si apprestava a pagare.
Docente universitario, scrittore, giornalista, è stato in carcere dal 2000 al 2003 per le sue critiche al regime. Recentemente ha dato vita a un’associazione per i diritti dei carcerati e per l’abolizione della pena di morte.
In attesa che lo portassero nel famigerato carcere di Evin, ha scritto questa lettera, di cui pubblichiamo un estratto, alla massima autorità giudiziaria in Iran, l’ayatollah Shahroudi.
EMADEDDIN BAGHI
All’onorevole Ayatollah Seyyed Mahmoud Shahroudi Capo del sistema giudiziario della Repubblica Islamica dell’Iran.
(...) Durante la Rivoluzione del 1979 praticai l’abluzione per il martirio e scesi in strada, ma il martirio non scese su di me. Tra il 1982 e il 1983 sopravvissi a due tentativi di assassinio da parte dei terroristi dei Mojaheddin del popolo. Ci furono opportunità di martirio anche durante la guerra con l’Iraq, ma non si realizzarono.
Successivamente, i tre anni passati in prigione chiarirono che anche trent’anni in cella non avrebbero intaccato la mia volontà. Questo perché non ho mai fatto nulla che oltrepassasse il dettato della legge e dei miei diritti civili garantiti.
Ora, le chiedo come autorità responsabile della sicurezza dei cittadini, di riflettere su che cosa si potrebbe fare.
Le chiedo gentilmente di mettersi nei miei panni, quelli di una persona che si batte per la giustizia, e di dirmi che cosa avrebbe fatto in queste circostanze. Mi dica in che cosa la mia precedente situazione (di perseguitato) differisca dalla prigione. Che differenza ci sia a stare da una parte o dall’altra del muro. Mi dica dov’è la linea rossa. E come possa uno scrittore o un qualsiasi cittadino che voglia esercitare il diritto alla libera espressione delle sue idee, esporre una critica attraverso la scrittura e la parola. E come questa persona, il cui diritto di parlare e scrivere vale quello di chiunque altro di respirare e dissetarsi, possa esprimere le sue idee in modo da non essere trascinato ogni giorno in tribunale, e minacciato minacciato di finire in prigione per le proprie
convinzioni. Perché non sia possibile, come ho cercato di fare in questi anni, costruire
un’associazione per i diritti umani non governativa, non profit e non politica, che svolga legalmente le proprie attività, senza subire gravi minacce, esplicite e implicite, a me e alla mia famiglia.
Nonostante questa lettera parli del mio caso, la cosa più impostante è di informarla che la mia vicenda è insignificante di fronte a ciò che sta capitando a migliaia e migliaia di altri cittadini nel nostro Paese. In questo senso dovrebbe essere informato su cosa succede nel Paese in cui lei detiene la più alta responsabilità in qualità di capo del sistema giudiziario ed è responsabile di qualsiasi oppressione si verifichi al suo interno. Secondo l’insegnamento islamico, l’Imam Ali dice
che un musulmano quando sente del furto della cavigliera di una ragazza ebrea deve essere pronto a dare la sua vita.
Onorevole Ayatollah Shahroudi, secondo l’articolo 156 della Costituzione, il sistema giudiziario dev’essere il protettore dei diritti sociali e individuali del cittadino.
È responsabile della realizzazione della giustizia e della promozione della legittima libertà. Lei ha recentemente promulgato la circolare sui diritti dei cittadini che è diventata legge negli ultimi
giorni del sesto Parlamento. Più tardi, lei ha proposto di stabilire un tribunale dei diritti umani (o del cittadino). È per questa ragione che la informo con questa lettera e aspetto la sua risposta.
Teheran 10 ottobre 2007
LASTAMPA
Thursday, October 18, 2007
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